Trapianti: io salvata 16 anni fa da mio padre
(Alessandra Moneti) (ANSA) – ROMA, 18 OTT 2011- La bambina di un anno e mezzo salvata grazie ad un trapianto di parte del fegato della madre all’ospedale Bambino Gesu’, a Roma, ”non poteva andare meglio; ha avuto fortuna ad essere seguita dall’equipe del professore Jean De Ville, uno dei medici che mi hanno operato 16 anni fa.
Sara’ una bimba che, dopo questa esperienza bella nel brutto, crescera’ e diventera’ una bellissima ragazza”. A dirlo e’ Francesca Zarfati, romana, oggi 21enne che alla nascita era affetta di atresia biliare extraepatica, una rara malattia neonatale per la quale, dopo una prima operazione a un mese di vita, fu necessario nel 1995 un trapianto salvavita. Un intervento impossibile all’epoca in Italia, e quindi eseguito alla Clinica Universitaria Saint-Luc di Bruxelles, con trapianto di due segmenti prelevati dal fegato del padre Stefano, l’unico vivente compatibile, e corrispondenti al lobo epatico sinistro. Costo’ oltre 200 milioni di lire sostenere tutte le spese, dal soggiorno alle voci sanitarie.
”De Ville sa il fatto suo, ora e’ anche diventato professore, e spero salvi qui a Roma tanti altri neonati” afferma Francesca che dice di sentirsi oggi ”benissimo”. Cosi’ racconta: ”Lavoro, e prendo una pasticchina di un milligrammo ogni sera senza effetti collaterali. Certo – osserva – rischio di ammalarmi spesso perche’ ho le difese immunitarie basse, ma con una buona sciarpa e senza fare sport estremi, tipo boxe o lotta libera, posso dire che la mia vita e’ normale. Del resto in Belgio sono stati meravigliosi: a 5 anni mi hanno fatto prendere questa malattia come un gioco. Adesso ci torno ogni due anni per due giorni; qui non mi fido e a Bruxelles sanno tutta la mia storia clinica. Una storia che – assicura la giovane che ora lavora come commessa nel negozio della mamma su Via Appia – racconto ai miei amici senza vergogna”. ”Trovo in Italia – continua la giovane trapiantata – senza difficolta’, tramite Asl, il Prograf, il farmaco antirigetto che un tempo mi arrivava dal Giappone mentre ora e’ disponibile.
Qualcosa funziona anche qui, e per fortuna sono esente, perche’ ogni confezione costa 200 euro”. Tra i segni che restano da questa esperienza come i cinque anni passati in ospedale prima di mettere piede a scuola ”c’e’ una grossa cicatrice – racconta Francesca – che va dal seno all’inguine, tipo una croce. Volevo farmi la plastica inizialmente, ma crescendo so che e’ una parte di me. E’ il segno di un racconto diverso, la mia vita. E poi questa cicatrice ce l’ho uguale a mia padre, mi lega a papa”’.
L’operazione del padre duro’ 10 ore, quella di Francesca, in parallelo, 12 ore ma fu preceduta da sette interventi di ‘bonifica’ per i danni subiti dalle terapie. ”La nostra unica figlia – racconta papa’ Stefano – a 5 anni aveva la pancia gonfia, continue infezioni per l’assenza delle vie biliari, e il suo fegato era diventato un sampietrino. Sia io che mia moglie eravamo pronti a donare. Sono risultato io compatibile e non ci ho pensato neanche 30 secondi, anche se non c’era casistica vasta e le conseguenze erano semplicemente: o muori o campi. Ma non fumavo, non bevevo alcol, pensavo di poter donare a mia figlia il meglio di qualsiasi altra cosa prelevata da un cadavere sconosciuto. Siamo arrivati in Belgio a giugno e ci siamo operati il 18 agosto. E mia figlia e’ stata quasi subito bene. Lo racconto, dopo essere stato ostacolato da molti medici che mi dicevano di chiedere ‘fantascienza’, per incoraggiare altri genitori”.(ANSA).