Indifferenza

C’è nella vita di “qualcuno”
un tenebroso sentiero.
Il sentiero dell’orgoglio
che nulla fa vedere,
che nulla fa sentire.
E’ un sentiero
dove non esiste la pietà,
dove non esiste la generosità.
­E’ un sentiero
dove non si sente
il gemito del fratello
perché stringe a sé sol
il potere come fardello.
In tal sentiero
si cammina ignorando
la luce sole
e non si conosce
la virtù dell’amore.
Si vive nelle tenebre
perché quel “qualcuno”
non sa
che i fiori più belli
si raccolgon
nel sentiero della fraternità.

Letizia Gandellini Laureante
Brescia, 4maggio 2007

Donare è dare vita

Qualche goccia di rugiada può
ancora rigenerare Il germoglio di un fiore.

Qualche goccia di sangue o un
organo donati possono salva­re una vita.

La donazione, nata dall’altrui­smo
e dall’amore, per la fusio­ne
spontanea di molte energie
rigeneratrici, sarà sempre il se­gno
più ambito di fratellanza senza confini.

Anche i poveri sono ricchi

Donare per alcuni è un dovere, per altri una gioia.
Amare il prossimo fino all’offerta del proprio sangue è come un dovere civico. Molta gente pensa che solo i ricchi possano dona­re, mentre, invece, ognuno di noi può dare qualcosa agli altri… di suo.
“Nessuno è tanto povero da non aver niente da dare; sarebbe come i ruscelli di montagna dicessero di non aver nulla da dare al mare, perché non sono fiumi. Dà quello che hai: per qualcuno può essere più di quanto Tu creda”, È una saggia massima che nessuno dovrebbe dimenticare.
Il cittadino donatore di sangue, anche se di modeste condizioni economiche, anche se cittadino qualunque, sa di offrire qualcosa di importante, di inestimabile a chi ha bisogno del sangue, e sa che colui che riceverà Il suo dono potrà sdebitarsi offrendo qualcosa a un altro, che attende un aiuto, e cosi via, come una catena senza fine che si chiama solidarietà e altruismo.
Nel nostro corpo meraviglioso si nasconde una macchina perfetta. Pertanto è giusto avere rispetto della nostra macchina, e di quella del nostro prossimo, e affermare che Il corpo umano, è qualcosa di veramente meraviglioso? Il sangue è il dono dello stesso, è condi­zione di vita individuale sociale.
Ieri: “Darei Il mio sangue, era un sogno d’amore”,
Oggi: “Dare Il mio sangue, è un gesto di solidarietà e altruismo”.
Alla fine di tutto l’uomo donatore che dona il proprio sangue, an­che se misero e povero, è la persona più ricca dell’universo.
Comm. Carlo Maretti

La bontà

Non permettere mai
che qualcuno
venga a Te
e vada via senza essere
migliore e più contento.

Sii l’espressione
della bontà di Dio:

Bontà sul tuo volto
e nei tuoi occhi
bontà nel tuo sorriso
e nel tuo saluto.
Ai bambini, ai poveri
e a tutti coloro che soffrono
nelle carne e nello spirito
offri sempre un sorriso gioioso.

Da’ loro non solo le tue cure
ma anche il tuo cuore.

Madre Teresa

…Tu piangi perché lui non c’è più…

Tu puoi spargere lacrime
perché Lui se n’è andato.
Oppure puoi sorridere perché Lui è vissuto.

Tu puoi chiudere gli occhi e pregare
perché Lui torni indietro.
Oppure puoi aprire gli occhi e vedere tutto
ciò che ha lasciato.

Il tuo cuore può essere vuoto
perché non puoi più vederlo.
O pieno dell’amore che avete condiviso.

Tu puoi volgere le spalle al domani
e vivere nello ieri.
Oppure puoi essere felice per il domani
proprio a causa di ieri.

Tu puoi ricordarlo e ricordare
solo che se n’è andato.
Oppure puoi accarezzare il suo ricordo
e lasciarlo vivere ancora.

Tu puoi piangere e chiudere la tua mente,
essere vuota e voltare le spalle.
Oppure fare ciò che Lui vorrebbe: sorridere,
aprire gli occhi, amare e andare avanti.
(Anonimo)

E donò se stesso all’amore

(Federico Garda torca)

Dedicata ai donatori dei propri organi vitali e a tutti quelli che donano se stessi per un fraterno sorriso di speranza e di pace.

Donò la sua voce,
mentre cantava come un usignolo.
Ed un bimbo muto
gli cantò la sua gioia.
Donò il suo udito,
mentre ascoltava il canto dei grilli
nella serra,
ed un bimbo sordo
ascoltò e con gesti gli parlò
del loro sospiro.
Donò i suoi occhi,
Mentre guardava una stella,
Ed un bimbo cieco
Lo prese per mano
e lo condusse lontano.
Donò il suo Rene
ad un bimbo infelice, che
l’abbraccio e mai più lo scordò.
Donò il suo cuore,
mentre voci e grida vivevano
nella sua poesia d’amore,
ed un bimbo morente
visse ed in sogno gli sorrise,
lo baciò e gli asciugo la fronte
intrisa di gelido sudore
con petali di rosa.

Alvaro Bertoncelli
(Alvaro Andrès Consuelo)

La malattia mi ha visitato

O Signore. la malattia
ha bussato alla porta della mia vita.
Un’esperienza dura, Signore,
una realtà difficile da accettare.
Eppure, Signore, voglio ringraziarti
perché con questa malattia
mi hai fatto toccare con mano
la fragilità della vita,
e mi hai liberato da tante illusioni.

Ora guardo tutto con occhi diversi:
quello che ho e che sono
è un tuo dono.

Ho provato la solitudine,
l’angoscia, la disperazione,
ma anche l’affetto, l’amore,
l’amicizia di tante persone.

Signore, anche se mi é difficile,
ti dico: sia fatta la tua volontà!
Ti offro le mie sofferenze
e le unisco a quelle di Cristo.
Ti prego: benedici tutte le persone
che mi assistono
e tutti quelli che soffrono con me.

Non cedere

Quando le cose vanno male. come talvolta accade,
quando la strada che stai percorrendo sembra faticosa,
quando i soldi sono pochi, ed i debiti tanti.
e tu vuoi sorridere, e devi sospirare,
quando le preoccupazioni ti opprimono un po’,
riposati se devi, ma non cedere.
La vita e bizzarra con i suoi alti e bassi
come ognuno di noi talvolta Impara
e molte volte arriva un insuccesso,
quando pensi di aver vinto e allora credi
di non poter più andare avanti.
Non rinunciare anche se Il cammino sembra lento;
tu puoi aver successo con un altro capo.
Spesso la meta è più vicina di quel che sembra
ad un uomo debole ed esitante;
spesso Il combattente ha ceduto
quando stava per
ottenere la coppa della vittoria;
ed egli Impara troppo tardi, quando la notte gli piomba addosso,
quando era vicino alla corona d’oro.
Il successo è un insuccesso che trasforma
il calore argentato della nube del dubbio,
e tu non puoi mai dire quando sei vicino,
può essere Iì accanto quando sembra lontano;
cosi attaccati alla lotta
quando sei più duramente colpito
e quando le cose sembrano peggiori.
Tu non devi cede.
un Anonimo

La mia storia… a lieto fine!

Mi chiamo Paola e la mia storia di malattia incomincia nel 1970: una pertosse acuta aveva danneggiato il mio pancreas e dovevo rassegarmi all’idea di essere diventata una diabetica insulino dipendente! DIABETICA a soli 3 anni! Io ero troppo piccola per capire e i miei genitori erano troppo “sani” per conoscere il diabete.
Vi lascio immaginare lo shock che hanno subito quando i medici hanno spiegato loro che dal diabete non si poteva guarire, che era una malattia fortemente invalidante e che tutta la vita, della loro figlia primogenita, sarebbe stata accompagnata da quotidiane iniezioni di insulina, da periodiche visite specialistiche e all’occorrenza da ricoveri ospedalieri.
Il 17 luglio compirò 43 anni e … 38 di questi li ho vissuti in compagnia del diabete.
Durante questi 38 anni l’unica vita che ho conosciuto è stata quella di diabetica: non riuscivo a ricordare un giorno della mia vita senza insulina, perché le poche giornate della mia prima infanzia erano ormai svanite dalla mia mente. Tanti sono i fatti che potrei raccontare, ma uno in particolare, accaduto quando avevo sei anni mi ha segnata per sempre … Ero ricoverata in ospedale e quella mattina l’insulina non la volevo proprio fare, ma la persona che doveva praticarmi l’iniezione mi mise di fronte a una “realtà” che ebbe l’effetto di un “fulmine a ciel sereno” … Dopo quel giorno non mi sono più lamentata ne della mia insulina e ne della mia malattia; avevo solamente 6 anni, ma tutto d’un tratto, è come se la consapevolezza del valore della vita mi avesse attraversata da capo a piedi. Ho vissuto da quel giorno fino ad oggi, “sentendomi” una persona “speciale”!
E’ come se … come contropartita al diabete, mi sia stata regalata una marcia in più, un senso in più, che è si è alimentato del mio vivere l’esperienza del diabete.
Perché scrivo tutto questo? Perché voglio che si comprenda che la mia vita da diabetica, è stata una vita piena di emozioni e di sentimenti profondi, portati alla luce dal vivere nella consapevolezza che nulla accade mai per caso, che anche negli avvenimenti negativi c’è sempre un risvolto positivo, che non sono mai stata sola, che anche nei momenti più bui e credetemi … la mia vita è stata costellata di questi momenti … “lassù”, ma anche quaggiù, c’è sempre stato qualcuno che mi ha amato! Il diabete non mi ha mai limitata in nulla. Si può dire che ho vissuto una vita da diabetica sentendomi perfettamente “normale” e non “malata”.
Ecco perché quando mi è stata diagnosticata l’Insufficienza Renale Cronica e prospettata la dialisi … beh … mi sono sentita morire!
Il colpo è stato veramente duro … sono crollata … letteralmente crollata! Ho immaginato gli scenari più oscuri: confesso che ho pensato che la mia vita era finita! Questo mi ha procurato un dolore immenso perché credevo e credo, che la vita sia una cosa meravigliosa, da vivere intensamente in ogni instante che ci viene concesso! La mia caduta ha fatto un rumore così forte che ha investito anche le persone accanto a me.
Cadendo è come se ero entrata in un’altra dimensione, dove tutto e tutti, avevano assunto una collocazione diversa. Ero diventata più “essenziali”, più concreta.
Così mi sono trovata un po’ “disallineata” rispetto alle persone che frequentavo prima. Questa caduta mi aveva permesso di rinforzare alcuni legami e di lasciarne andare altri.
Alla caduta è seguita la fase della fuga! Mi ero sottratta a tutti i controlli medici e avevo cercato di vivere più intensamente possibile. come se mi fosse stato dato un termine, oltre il quale sapevo che non avrei più potuto vivere la “MIA VITA”. In particolar ero partita per alcuni viaggi all’estero, verso quei mari trasparenti e turchesi che mi ero chiesta se avrei potuto rivedere un giorno, nella più completa libertà … Mi ero vista senza via d’uscita, costretta a imboccare una strada che non volevo percorrere, una strada fatta per lo più di sensi unici!
Alla fuga è seguita la fase del rientro: affrontare il problema. Questo periodo è stato doloroso, ma rasserenante per certi versi, molte angosce, dovute alla non conoscenza, erano svanite e altre si erano fatte strada nella mia mente. Stavo per iniziare un viaggio verso un mondo completamente inesplorato, un viaggio impegnativo, durante il quale avrei dovuto utilizzare tutta la forza che c’era in me per superare gli ostacoli e per restare in piedi.
Ogni esperienza di dolore, se accettata, contribuisce però a renderci più forti verso le avversità della vita. “Non mollare mai e credere sempre che le cose possano cambiare” è il mio motto. La quotidianità che mi ero trovata costretta a vivere non mi piaceva … soffrivo terribilmente per le limitazioni imposte dalla dialisi alla mia libertà; esiste, infatti, una fondamentale differenza tra scegliere di non fare una determinata cosa e .. non poterla fare! La mia vita sociale si era inevitabilmente ridotta: ero diventata come Cenerentola! Durante la settimana, ad un determinato orario, devo rientrare a casa, perché avevo l’appuntamento serale con la macchinetta per la dialisi peritoneale, con cui devo interagire tutta la notte; la mattina seguente poi volavo al lavoro! Mi ritrovai con due compagni di vita: al vecchio “amico” diabete si era aggiunta la nuova “amica” dialisi.
Passavo da momenti di serenità a momenti di sconforto, perché avevo paura del futuro … avevo paura che il trapianto potesse sfumare, per l’insorgere di qualche complicanza o potesse non arrivare …
Per una persona che si trova nelle condizioni in cui ero, la speranza di ricevere un trapianto è l’unico mezzo che può portare la luce, nella penombra della vita che sta vivendo!
Io ero fortunata, perché il mio trapianto avrebbe migliorato la mia vita, ma ci sono persone e quanti sono questi “fratelli”, per i quali il trapianto è l’unico mezzo per poter continuare a vivere! Non si può neanche immaginare, per quanti di questi, quel giorno tanto desiderato, non arriva …
Il 12 agosto 2008, verso le 17.00 del pomeriggio ho ricevuto una telefonata: sono stata chiamata per il trapianto combinato di rene-pancreas. Avevo 41 anni, ero diabetica da 38 anni e dializzata da 1 anno e 8 mesi, ma grazie alla volontà di Dio e alla generosità del “mio prossimo”, stavo per iniziare una nuova vita! Sono entrata in sala operatoria il 13 agosto 2008 alle 08.00 e sono uscita alle 15.00: tutto era andato per il meglio! In quella sala operatoria avevo lasciato i miei più fedeli compagni di vita: il diabete e la dialisi! E’ passato 1 anno e qualche mese dal giorno della mia “rinascita” e non esistono parole per descrivere quello che sento e vivo quotidianamente! Ogni tentativo sarebbe riduttivo e le emozioni che mi accompagnano sono troppo intense, troppo grandi per essere racchiuse in un insieme di parole! La mia non è stata un’esperienza facile, non è stata priva di dolore, non sono mancate le rinunce, ma sono sempre riuscita a sorridere e a sentire che “tutto è possibile!”. Vorrei tanto poter trasmettere questo mio ottimismo, vorrei tanto essere contagiosa per i miei compagni di viaggio, che ancora stanno aspettando la chiamata, vorrei tanto poter aiutare, con il mio vissuto, coloro che sono solo all’inizio del loro percorso di malattia …
Vorrei che coloro che hanno letto questa esperienza di vita, capissero l’importanza del “donare” la propria morte per la vita di 7 “fratelli”! Sì, ogni donatore può salvare la vita di 7 persone che hanno vissuto esperienze simili alla mia.
Io sono credente, lo sono sempre stata e sono certa che la fede in Dio sia la forza che mi ha sempre accompagnata in questi anni. Mi sono sempre sentita amata da Lui e dopo il trapianto ancora di più. Non passa giorno senza che il mio pensiero vada al mio donatore, alla sua famiglia e a quanti gli volevano e gli vogliono bene! So cosa significa perdere “un pezzo del proprio cuore” e dover vivere ogni giorno con “quell’assenza”! Per questo motivo, mi sento in dovere di ringraziare, ringraziare e ringraziare ancora!
Sono profondamente convinta che il mio trapianto è avvenuto per volontà di Dio, ma la decisione di “donare” è una libera scelta del mio donatore o della sua famiglia, dettata dall’amore verso il proprio prossimo! In ogni uomo c’è una bussola che punta sempre verso il bene, ma ognuno di noi è libero di seguire o di non seguire la via dell’amore!
Vi lascio con una frase presa da Giosuè 1.9, che mi è “arrivata” proprio quando ne avevo più bisogno: “Ricordati che devi essere forte e coraggioso. Io, il Signore tuo Dio, sarò con te dovunque andrai. Perciò non avere paura e non perderti mai di coraggio.”.

Quando la vittoria è per la vita

Come è più dolce e piena la vittoria quando sai di avere combattuto con tutte le tue for­ze e, contro ogni previsione, raccogli i frutti della tua fatica.
Lo sa bene Ermanno Manenti, offlaghese d’origine, manerbiese di residenza.
La sua storia non è quella, pur sempre inte­ressante, che potrebbe raccontare un atleta qualsiasi, ma piuttosto quella di un uomo normale che, giocoforza, è stato chiamato a diventare “testimonial della vita”.
Ermanno l’agosto scorso in Australia ha infatti conquistato la medaglia d’oro nella 20 km di ciclismo su strada disputatasi sulla Gold Coast.
Tuttavia questa vittoria, che deve essere sommata al quinto posto ottenuto nella cronometro individuale, non è la “sempli­ce” vittoria di un atleta ben preparato, per­ché Ermanno l’ha ottenuta nell’ambito dei World Transplant Games, la competizione mondiale riservata ai trapiantati.
Dopo una giovinezza trascorsa come molti altri ragazzi tra la scuola, la passione per il calcio e la bicicletta e gli amici Ermanno, dopo il servizio militare scopre di avere contratto, non si saprà mai come, una seria forma di epatite.
Comunque tutto sembra essere sotto con­trollo, seguendo le cure e affiancato dal prof. Andri, Ermanno per un bel po’
di anni prosegue la sua vita senza particolari difficoltà: il lavoro, la famiglia, lo Sport.
Nel frattempo però la sua malattia si cro­nicizza, le sue condizioni peggiorano fino a quando nel 2004 scopre che l’unica solu­zione alla patologia che gli viene diagnosti­cata è il trapianto di fegato.
Inizia il calvario delle visite specialistiche sostenute a Pisa e dopo un iter estremamen­te complesso e doloroso, nel novembre del 2006, il suo nome viene inserire nella lista di chi è in attesa di trapianto.
La sua vita, come quella della moglie Anto­nella e dei figli Stefano e Michele cambiano radicalmente, anche per il lento ma progres­sivo peggioramento delle sue condizioni.
Tuttavia, la sua voglia di vivere e la capacità di affrontare, per quanto possibile, con ottimismo, questa prova, unite al sostegno della sua famiglia lo aiutano ad arrivare al giorno della tanto attesa telefonata con la quale gli viene confermata la disponibilità di un fegato compatibile.
La nottee tra il 3 e il 4 gennaio 2007 all’ospedale di Pisa, Ermanno viene sot­toposto al trapianto; l’intervento riesce perfettamente.
Per quanto la ripresa e l’adattamento alla montagna di farmaci anti-rigetto siano duri, tanto dal punto di vista fisico quanto psicologico, Ermanno sa che la sua non è sofferenza ma un ritorno alla vita; decide quindi di combattere con il sorriso sulle labbra. Trova la forza ne­cessaria in se stesso, nelle persone che con amore lo accudiscono e negli amici che non gli fanno mancare il loro afferro.
I suoi sorrisi sono tutti per loro; la sua riconoscenza è per chi, con la sua morte, gli ha permesso di tornare alla vita.
Così Ermanno supera brillantemente la fase più critica, quella del post tra­pIanto.
Mentre si trova ancora a Pisa, grazie ad un giovane amico trapiantato, viene a conoscenza dell’A.N.E.D. l’Associazione Nazionale Emodializzati, che promuove attività sportive per e non trapiantati.
Ermanno non perde tempo, si tessera, ma nonostante il desiderio di risalire in sella alla due ruote sia forte, solo nel 2008 inizierà a fare alcune passeggiate. Nella primavera del 2009, sponsorizzato dal gruppo di tifosi della “Vecchia Guardia” di Salò riceve una bicicletta nuova di zecca e inizia gli allenamenti per parteci­pare al Campionato Italiano organizzato dall’ANED.
Nel maggio scorso, in terra novarese, Er­manno conquista il terzo posto sia nella i 20 km su strada che nella cronometro individuale.
La soddisfazione è tanta ma non è sufficien­te a placare il suo entusiasmo e la voglia di dimostrare a tutti che è possibile tornare alla vita e tornarvi meglio di prima.
Così, sempre seguito dalla moglie e dall’ami­co e “manager” ad honorem Cesare, il 20 agosto scorso si imbarca su un volo che da Malpensa lo porta a Singapore e da lì raggiunge Brisbane, in Australia, per parte­cipare ai World Transplant Games.
Per Ermanno Manenti è un trionfo, con­quista infatti la medaglia d’oro nella 20 km battendo i 50 partecipanti della sua catego­ria provenienti da tutto il mondo. “Una vittoria davvero desiderata e nella quale speravo” spiega Manenti “per me è stata una gioia immensa e una doppia vittoria: contro gli avversari, estremamente forti; e contro la malattia”.
Una vittoria che Ermanno dedica alla moglie, ai figli, alle persone vicine e, prima di tutto, al donatore del suo nuovo fegato che naturalmente è sconosciuto ma che è sempre con lui.
Parla al plurale Manenti, “noi ci siamo al­lenati” ” … noi abbiamo vinto” e non è una plurale maiestaris quello che usa.
“Il risultato agonistico è comunque impor­tante ma ciò che più conta è il messaggio che questa vittoria porta con sé” con­clude Manenti. “È importante credere nel trapianto e riuscire ad affrontarlo con serenità. È l’unica possibilità per tornare alla vita e ad una vita normale Fatta di lavoro, affetti, passioni e speranze”.
Ed è la “speranza” la chiave di volta necessa­ria per affrontare al meglio quella che certo, sotto molteplici aspetti, è un’esperienza drammatica e destabilizzante.
L’obiettivo da raggiungere, in questo caso, è la vita e “il trapianto è vita” e non solo per gli altri, perché domani su quella lista d’at­tesa potrebbe esserci il nostro nome. Questo non dovremmo scordarcelo mai e soprattutto quando una storia come quella di Ermanno Manenti ci insegna che un no­stro gesto di generosità può offrire a qual­cun altro un’altra occasione … per la vita.